La mattinata a scuola passò in fretta. Sembrò quasi che quelle sei ore di lezione non avessero significato alcuno per lo scorrere del tempo e fossero state messe da parte come polvere sotto un tappeto. Sei ore trascorse a pensare, con l'eccessiva preoccupazione di ragazzino, che da li a poco la mia vita sarebbe cambiata in bene o in peggio.
Di certo sarebbe cambiato qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa, e la mente fuggiva al sapore di lucidalabbra e menta che Tilly mi aveva lasciato, e pareva di sentirlo ancora leccandomi le labbra: ero talmente assuefatto da quella sensazione nuova che confondevo il mio alito maleodorante di salatini della merenda, con quel sublime e strano sapore di onnipotenza. Avevo baciato Tilly, e poi l'avevo fatto ancora, e ancora.
Rivissi in quelle sei ore le scene al rallentatore, esaminando minuziosamente le scene impresse nella memoria, vivide e un pò avvolte dal buio della sera precedente, dalle nostre facce scolpite dai lampioni rotti del quartiere che fino a poche ore fa eccheggiava ancora dei calci al pallone.
Pensai che non avrei più calciato una palla perchè chi è fidanzato non lo faceva. Questo mi fece accorgere, subito, di un inaspettato svantaggio, e negli anni, di un'innocenza meravigliosa che mi caratterizzava, e che da li in poi, come grattando puerilmente l'intonaco da una crepa, si sarebbe inesorabilmente sgretolata.
Anche il pranzo quel giorno divenne un'attività insignificante, ed in quel frangente, circondato dal mutismo esasperante dei miei parenti, facce riverse su piatti di pasta e carne, inabissate come dannati danteschi quasi fino ai piedi a scontare una pena secolare, incomprensibilmente mi si piantò l'imamgine di una splendida e sorridente Tilly davanti agli occhi e un Deja vù sonoro "tu sei come tuo padre" - "non ti troverai mai bene nella vita" - "povera quella che ti si piglia" - "che fai guardi quelli che si baciano in TV" - "ahà! ti piace la signorina che lavora dal gelataio" - "ma cosa fanno quelli 'i due'!?".
Immaginavo, e ricordo ancora, me stesso come al centro di un cerchio di demoni che ripetevano questi mantra vessatori; demoni con quelle facce medio borghesi e le unghie smaltate di rosso. Immaginavo il terreno aprirsi come un otturatore e inghiottirmi, facendomi precipitare come in quei sogni dove proprio non ce la fai a gridare per chiedere aiuto. E cadi, cadi.
La mia forchetta piombò nel piatto con un tonfo secco e gli occhi, da fissi che erano in quella visione mesmerica, cominciarono a guizzare come risvegilati dall'esperimento di un paragnosta in cerca dell'eventuale reazione dei commensali : arrivò un sibilato "si scassa il piatto...fai piano".
E' strano ed a volte stupefacente il modo in cui milioni di ricordi facciano la fila nei miei pensieri e siano tutti così nitidi. Anche in quell'istante ricordai scene dell'infanzia. La pineta, la mia famiglia ancora felice.
Mi alzai, annunciai che sarei andato da zia Fiammetta per farmi ricapitolare una lezione di letteratura per un'interrogazione inesistente. Imboccai l'ingresso di casa e con le dita feci scivolare, in silenzio, tutti i gettoni telefonici che vidi nel grande piatto di porcellana, che allora dava il benvenuto ai rari e scontenti visitatori di casa.
Il piccolo tesoro gonfiava le tasche della tuta mentre già immaginavo quel "pronto...", che probabilmente sapeva di lucidalabbra e mentolo.
lunedì 25 agosto 2008
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